Sorge a 750 metri d’altitudine nella parte meridionale dell’altopiano omonimo, nel Monte Acuto. Il suo territorio, famoso soprattutto per le cave di granito bianco, è ricoperto di pascoli, sugherete e fitta macchia mediterranea ed è attraversato dal rio Mannu che si immette nel lago Coghinas e dal rio Altana che sfocia nel Tirreno. L’altopiano di Buddusò, sede abituale di prove speciali del mondiale Rally Italia Sardegna, fu abitato a partire dal Neolitico, come testimoniano una decina di domus de Janas all’interno dell’abitato e di oltre 50 raccolte in necropoli, disseminate nelle campagne. Le più famose sono la domus di Borucca e la necropoli di Ludurru, a 200 metri dal paese, con ipogei scavati in un unico affioramento granitico. Il periodo successivo è abbondantemente ‘raccontato’ da 32 nuraghi. Alcuni complessi sono ben conservati, su tutti il nuraghe Loelle, a sette chilometri dal borgo, realizzato con conci lavorati, a forma trilobata con gradini e corridoi che corrono su due piani interni. Caratteristica è anche una camera sottostante (forse una cantina), mentre la torre svolgeva il ruolo di controllo su un villaggio. A fianco si trovano due piccole tombe di Giganti. Da segnalare anche il villaggio di sos Muros che conserva un pozzo intatto. Mentre a 15 chilometri da Buddusò, ma nel territorio confinante di Bitti, c’è uno dei complessi nuragici più importanti in assoluto, il villaggio-santuario su Romanzesu. Durante l’età romana l’area buddusoina fu sede di una stazione nella strada Karalis-Forum Traiani-Olbia. Restano evidenti tracce del centro abitato Caput Tyrsi vicino alle sorgenti del fiume Tirso. Il dominio iberico, invece, è evidente a Buddusò dalla chiesa barocca di san Quirico. Le altre chiese principali sono la parrocchiale di santa Anastasia e quella campestre di santa Reparata, celebrata con una sagra a inizio settembre.
Il paese, di quasi quattromila abitanti, ha avuto uno sviluppo economico negli ultimi decenni del XX secolo grazie a estrazione e lavorazione di sughero e granito, usato in tutto il mondo. Ovviamente, è anche il materiale delle case tradizionali. Si vede in tante statue dentro il paese e nel museo d’arte moderna, realizzate nel ventennio 1980-2000 durante le sessioni del Simposio del Legno e del Granito, in cui artisti di tutto il mondo si cimentavano, in strade e piazze, nel modellare granito e legno. Nel centro storico da ammirare anche villa Doneddu, in stile neogotico.
Dopo otto anni di lavoro, la Falck Renewables ha inaugurato in Sardegna il parco eolico piu’ grande d’Italia: 4.000 ettari nei territori di Budduso’ e Ala’ dei sardi, in Gallura, in un’area particolarmente ventosa che consentira’ di produrre, una volta a regime, 300 GWh/anno e coprira’ il fabbisogno elettrico di oltre 110 mila famiglie, con un risparmio di emissioni di anidride carbonica di circa 180.000 tonnellate/anno.
Le minori emissioni di CO2 renderanno la Sardegna una delle prime Regioni italiane in grado di soddisfare gli obiettivi del Protocollo di Kyoto. L’inaugurazione dell’impianto e’ avvenuta in una giornata di vento intenso, alla presenza, sotto le turbine 32 e 10, dell’amministratore delegato della Falck Renewables, Piero Manzoni, assieme all’assessore regionale dell’Industria, Alessandra Zedda, gli amministratori comunali di Budduso’ e Ala’, l’assessore provinciale all’Ambiente Pietro Carzedda.”Tra le energie rinnovabili – ha detto Manzoni – l’eolico e’ quella meno costosa. L’impianto di Budduso’ e’ il piu’ grande d’Italia e uno dei migliori a livello europeo come qualita’ della risorsa vento. Sappiamo che in termini di occupazione l’eolico non rende molto – ha precisato – ma la produzione di energia e’ volano dell’economia”. L’assessore dell’Industria ha ricordato come l’Isola sia inserita nel Burden Sharing (il processo di regionalizzazione per la produzione energetica da rinnovabili), e che il parco eolico di Budduso’ e’ un passo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Cosi’ come nell’ottica della riduzione dei costi, rientra anche il Galsi, il metanodotto che dall’ Algeria arrivera’ in Italia passando per la Sardegna. ”Il miglior progetto che potesse capitare all’isola – ha sottolineato Zedda – in grado di cambiare l’assetto futuro dell’isola”.
IL SYMPOSIUM INTERNAZIONALE
BUDDUSÒ 1984-2004
A Buddusò, il Simposio Internazionale di Scultura nacque nel 1984 con l’intento di valorizzare le materie prime locali, il granito e il legno, e far conoscere le varie espressioni artistiche dalla scultura contemporanea.
L’idea venne da subito apprezzata e la prima edizione del Simposio Internazionale di Scultura fu realizzata sul legno e fu dedicata a “Mastru Mimmiu Solinas”, decano degli intagliatori/falegnami di Buddusò. Sulle ali dell’entusiasmo per l’inaspettato successo, l’anno successivo si organizzò il Simposio Internazionale di Scultura sul Granito.
Il granito, pregiato materiale, era stato utilizzato fino ad allora esclusivamente in edilizia; grazie ai simposi fu adoperato per la realizzazione di opere d’arte che avrebbero reso Buddusò, negli anni, un museo a cielo aperto. Con il simposio si valorizzarono le proprietà “plastiche” di questo materiale e il successo ottenuto fece da volano per lo sfruttamento della roccia che portò lustro, benessere e fece crescere culturalmente il paese.
Il simposio era aperto alla partecipazione di scultori provenienti, non solo dall‘Italia, ma anche dalla Francia, dalla Colombia, dagli Stati Uniti, dalla Corea, dall’Australia e dall’Iraq.
Il segreto della manifestazione e del suo successo fu l’idea di far “lavorare” gli artisti lungo le vie principali del paese. Questo favorì un contatto diretto tra scultore e popolazione. La creazione dell’opera d’arte attirava infatti l’attenzione del pubblico, che, incuriosito e partecipe dell’evento, camminava lungo il “Percorso dell’Arte” tra blocchi e lastroni di granito, commentando su molteplici aspetti, quali per esempio le caratteristiche dei vari tipi di pietra e le difficoltà che gli artisti avrebbero incontrato durante la lavorazione. Il paese, durante i Simposi, si trasformava in un laboratorio artistico a cielo aperto: benché la polvere la facesse da padrona, le scaglie schizzassero ovunque e i cocci di pietra fossero sparsi lungo le vie del paese, tutti lodavano la manifestazione, nessuno si lamentava. Il lavoro cadenzato dal ritmo dei martelli che picchiavano con le punte di acciaio sulla dura pietra e il sudore degli artisti era diventato uno spaccato quotidiano da ammirare. Adulti e bambini si affollavano intorno agli artisti, che scegliendo lo scultore preferito, lo osservavano durante il lavoro, talvolta ponendo domande sull’opera, talvolta elargendo consigli o semplicemente offrendo un bicchiere di acqua fresca per lenire le fatica e il sudore.
Gli anziani cavatori buddusoini erano sempre presenti e pronti ad intervenire, mettendo al servizio degli artisti la loro pluridecennale esperienza, consigliando interventi o strategie che sarebbero serviti a semplificare il lavoro o semplicemente a risparmiare ore di fatica. Ciò che maggiormente colpì e rimase impresso nella mente degli artisti fu la disponibilità e l’ospitalità riservata loro dai buddusoini.
L’estemporanea venne riproposta di anno in anno, alternando la scultura su legno a quella su granito, fino al 2004. Nel 2013, dopo quasi dieci anni, venne organizzato un nuovo simposio su granito. Tutte le opere realizzate a fine manifestazione venivano dislocate lungo le vie del paese ed è così che Buddusò è diventato un museo a cielo aperto.